21/07/2009

Tabaccaio denuncia usuraio e si impicca



MILANO — Tre lettere. Una alla compagna e al figlio, una all’avvocato, l’ultima per un maresciallo dei carabinieri. E poi un lungo, conclusivo, atto di accusa. Una pagina scritta a macchina, date, conti banca­ri, un nome e cognome: «Quell’uomo mi ha rovinato la vita. Chiedeva altri soldi. Prendetelo». Poi Andrea San­nicandro, 52 anni, una vita passata al bar tabacchi Loreto Uno di viale Monza, 9, quello dove ai tempi d’oro Lele Mora (che ha l’ufficio nello stabile) offriva l’aperitivo alle model­le, scende nel seminterrato, annoda una corda alla trave del soffitto e sparisce dal suo mondo di debiti, prestiti, pro­testi e usura. Lo hanno trovato ieri matti­na alle 7,11, due dipendenti del bar. Le ragazze avevano vi­sto l’auto parcheggiata, pensa­vano fosse sceso nel magazzi­no. Invece lui era lì, forse dal­la notte precedente, quando dopo aver salutato la compa­gna aveva detto a un amico che sarebbe rimasto nel loca­le per sbrigare un paio di que­stioni. Lei era tornata a casa con il figlio di 23 anni, a Ubol­do in provincia di Varese.

Quando le pattuglie della polizia sono arrivate nel bar con le serrande mezze abbas­sate, la scoperta di quell’ulti­mo atto di accusa, scritto con calma. Come aveva fatto giu­sto quattro anni prima un al­tro commerciante di viale Monza, il macellaio Roberto Mandotti morto anche lui im­piccato a 41 anni nel suo nego­zio, duecento metri più in là, oltre il ponte della ferrovia. Mandotti, schiacciato dai de­biti, lasciò il nome del suo aguzzino. La polizia lo prese due giorni dopo. In casa ave­va la lista delle famiglie stroz­zate, conti per milioni di eu­ro.

E al macellaio, deve aver pensato con un tarlo conti­nuo anche il barista Sannican­dro. Tante, troppe le analogie. Dicono che fu proprio lui, al­l’indomani di quella morte a proporre una fiaccolata dei commercianti della zona. Poi non se ne fece niente, perché Milano si dimenticò in fretta di quel macellaio e delle altre 20 mila persone che per le as­sociazioni antiracket vivono sotto la scure degli strozzini. «Lo hanno ucciso le banche e lo stato che non protegge le vittime di usura», tuonano Frediano Manzi e Paolo Boce­di di Sos racket e usura. La vittima nelle sue lettere ora sotto sequestro, ha raccon­tato di un uomo. Il nome è quello di un imprenditore di 34 anni residente nel Brescia­no. A lui è intestato un nego­zio un centinaio di civici più in là sempre in viale Monza.

Il barista, nel suo ultimo scrit­to, racconta dei debiti accu­mulati. Alla Camera di com­mercio sono registrati 11 pro­testi per cambiali e assegni, il primo è del 13 di gennaio (1.450 euro), l’ultimo del 9 di luglio (3.000 euro). In tutto meno di 30 mila euro. A cui vanno aggiunti una fila di pre­stiti personali ormai fuori con­trollo. Poi gli ultimi assegni, quelli intestati all’imprendito­re G. M. per conto di alcune società finanziarie del Brescia­no: «Soldi prestati a tasso d’usura». Le accuse restano tutte da dimostrare. Ieri i poliziotti hanno ascoltato il maresciallo della stazione Porta Garibal­di, il carabiniere al quale era indirizzata una delle tre lette­re. Sannicandro lo aveva cono­sciuto un mese fa, gli aveva confidato dei guai finanziari, di quell’amico diventato usu­raio e aveva anche accettato «magari dopo l’estate» di sporgere denuncia. Poi il pas­so indietro, il silenzio e l’ulti­mo salto nel vuoto. Solo in viale Monza, nel suo negozio, di notte, come il macellaio Mandotti.

Giuzzi Cesare
(21 luglio 2009) - Corriere della Sera